Proteste di 30 sindaci e di altrettante comunità dei Nebrodi (“qui è un’invasione”), chiusura del sindaco di Civitavecchia a ogni ipotesi di allestimento di campo di accoglienza, deciso ‘no’ delle Regioni Liguria, Veneto e Lombardia al nuovo piano-migranti in via di definizione al Governo, diktat di Virginia Raggi contro nuovi arrivi nella Capitale, sostanziale fallimento dell’accordo di dicembre 2016 tra ANCI e Governo sulle quote da ripartire per i Comuni (2.5 extracomunitari ogni mille abitanti per un massimo di 150mila nuovi arrivi in un anno) ma, soprattutto sostanziale superamento del modello-SPRAR, il Sistema di Protezione per i Richiedenti Asilo e Rifugiati istituito per coniugare il principio di solidarietà a quello della tutela dei diritti costituzionalmente riconosciuti. Infatti intende conferire sostanza al dettato dell’Articolo 10 della Costituzione italiana: “Lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”. Quanti dei circa 100mila migranti giunti dal 1 gennaio 2017 hanno diritto di richiedere asilo politico lo sanno al Ministero degli Interni, laddove arrivano – attraverso le Prefetture – i report sulle identificazioni successive agli sbarchi: nomi, provenienze, età, motivi della fuga da correlare e da far combaciare alla lista ufficiale dei Paesi in cui le libertà democratiche sono sospese: a voler stare larghi si tratta di non più del 10%. Tutti gli altri sono, semplicemente, migranti economici. Al 1 aprile 2017 allo SPRAR hanno aderito oltre mille Comuni che hanno visto finanziati i propri progetti di accoglienza per un totale di 25.743 posti. E gli altri 70mila migranti? Qui entrano in gioco le Prefetture che, con ampia discrezionalità, laddove le esigenze lo richiedano si appoggiano – senza andare tanto per il sottile – a strutture private. Assodato che il resto d’Europa non prenderà mai i disperati giunti in Italia ed al netto delle polemiche politiche sulle cause e sulle responsabilità di questa situazione, la discriminante tra chi ha diritto di restare in Italia e chi no sta, tutta, nei (mancati) rimpatri.
LA RIPARTIZIONE – Allora emblematico del metodo adottato dal governo è la ripartizione (immagine in alto) comunicata in ordine all’ultimo sbarco di Salerno, il 21esimo in città, avvenuto venerdì scorso. 300 persone su 934 restano nella regione di arrivo, gli altri suddivisi a seconda delle disponibilità accertate. Roma, in questa caso, è esclusa. Esauriti a seguito degli sbarchi precedenti i 200 posti per i minori non accompagnati, i circa 100 giunti venerdì sono stati suddivisi in provincia (Giffoni Valle Piana, Montecorvino Rovella, Capaccio, Felitto). In tale contesto spicca la posizione del Prefetto di Salerno, Salvatore Malfi, che invita “i 120 Comuni che non hanno dato la propria disponibilità all’accoglienza, ora, a farlo (video)”. Con la quota di 2.5 migranti/1000 abitanti che resta una semplice enunciazione di principio.
POLEMICHE – “Fratelli d’Italia è in prima fila per contrastare la follia degli sbarchi di migranti. In piena stagione l’arrivo di migliaia di immigrati nelle città turistiche colpisce in modo devastante uno dei settori economici fondamentali della nostra nazione. Solidarietà e vicinanza alle comunità e aderisco alle iniziative di protesta organizzate a Civitavecchia. Va sventato il pericolo che la città più importante d’Italia per sbarchi turistici perda questo primato diventando un nuovo gigantesco campo di accoglienza”, scrive Giorgia Meloni. Posizioni identiche per la Lega di Salvini e del M5S che auspica la chiusura dei porti. Politica e sindacati la vedono (quasi) allo stesso modo: la Cisal provinciale di Salerno, attraverso il segretario Gigi Vicinanza, afferma: “Va bene l’accoglienza, ma stiamo perdendo di vista le priorità del territorio. Il Porto di Salerno è un’eccellenza nel suo genere. Non possiamo permettere che sia snaturata la sua reale vocazione. Serve una riflessione matura sul tema. Se anche il Governo adesso parla di situazione al collasso non c’è più da attendere. Inoltre, il porto di Salerno va tutelato. Ci sono aziende che, nonostante la crisi, continuano a investire e a garantire livelli occupazionali. Ecco perché credo che tutti debbano fare la propria parte. Salerno non può pagare dazio perché si è dimostrata eccellente nell’organizzazione dell’accoglienza di chi fugge dalla guerra. Perdere una commessa, in questo periodo storico, sarebbe una sciagura per un’azienda. E chi pagherebbe i danni? Ovviamente i lavori che perderebbero il proprio impiego. Ecco perché sono d’accordo nell’aiutare chi cerca di sopravvivere alle angherie più terribili ma non bisogna dimenticare che c’è un sistema occupazionale da tutelare. L’accoglienza deve essere un gioco di squadra. Al momento, però, in campo sono scesi solo i salernitani che rischiano di pagare un prezzo troppo alto”. Dalle parole ai fatti: se l’associazione ‘E ti porto in Africa’ spiega, attraverso il medico missionario Vincenzo Mallamaci che “esiste un metodo certo per avviare economie di sussistenza in Africa: con piccole donazioni in Costa d’Avorio abbiamo avviato al lavoro circa 5mila persone tolte dai barconi”, appare coraggiosissima l’azione di Generazione Identitaria: un manipolo di volontari ha organizzato un crownfounding. Raccolti i fondi necessari (oltre 50mila euro) ha noleggiato una nave con la quale è partito alla volta del Canale di Sicilia “per effettuare il primo blocco navale, a difesa delle radici europee”, dice Lorenzo Flauto, in perfetto inglese.