Se a Brescello tra Municipio e Campanile finiva (spesso) in goliardia a Giffoni Valle Piana, mancando l’ispirazione del Guareschi, si arriva dritti in tribunale. Da una parte il Comune, dall’altra l’Istituto Interdiocesano per il Sostentamento del Clero della Diocesi di Salerno, Campagna, Acerno ed Abbazia Territoriale della Santissima Trinità di Cava de’Tirreni. Davanti al giudice da un lato i due sindaci succedutisi alla guida dell’amministrazione picentina (Paolo Russomando e, dal giugno 2016, Antonio Giuliano), dall’altro il presidente dell’IISC (monsignor Mario Salerno). In mezzo il diritto di piena proprietà su 37 ettari suddivisi in 51 particelle. Terra fertile i cui diritti furono sanciti nel 1.700; cespiti transitati per l’epoca fascista e che le evoluzioni del diritto hanno poi attribuito ai Comuni, ad altri Enti o all’IISC (di volta in volta individuati quali concedenti o livellari con enfiteusi) e che, sempre, sono stati in uso a privati fittavoli attraverso attività prevalentemente di carattere agricolo a fronte delle quali vi è un corrispettivo stabilito in un contratto di fitto.
Concordato Stato-Chiesa – A riordinare la materia è intervenuta la Legge 20 maggio 1985 n.222 recante ‘disposizioni sugli enti e beni ecclesiastici in Italia e per il sostentamento del clero cattolico in servizio nelle diocesi’ (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 3 giugno 1985, n.129). Essa trasferiva tutte le proprietà fino ad allora in testa a parrocchie e le prebende (rendite ecclesiastiche) agli Istituti Interdiocesani di tutta Italia con legittimazione del titolo di proprietà. Norma che completava, quindi, quella del diritto a chiedere l’affranco e l’eliminazione del vincolo sancito dall’art. 971 del codice civile secondo cui sia il concedente che il livellario enfiteuta hanno facoltà di chiedere (ed ottenere) l’affranco del fondo (sempre per il consolidamento del diritto di proprietà in capo al livellario enfiteuta) previo pagamento di un corrispettivo non propriamente commerciale ma determinato da calcoli e tabelle indicati dall’Agenzia delle Entrate e, più di recente, fatti propri dalla Regione Campania.
A Giffoni, però, non tutto è andato per il verso giusto. A ricostruire, faldoni alla mano, è il presidente IISC monsignor Mario Salerno: “Il 18 dicembre 2014, nella sua qualità di concedente e nell’esercizio del suo diritto, il Comune richiese all’Istituto livellario enfiteuta la disponibilità ad affrancare dodici particelle pari a circa cinque ettari per un valore quantificato di 11.881 euro. Il 10 aprile 2015 l’Istituto comunicò la propria positiva volontà e bonificò la cifra richiesta di 11.881 euro. A quel punto, attraverso un atto del segretario comunale, l’ente avrebbe dovuto emettere l’atto di affranco e concedere la liberatoria del vincolo. Dal Comune però si interruppero le comunicazioni e le carte passarono agli avvocati (per l’Istituto Vincenzo Indelli). Per logica conseguenza il 29 aprile 2016 il Tribunale di Salerno ha ordinato al Conservatore la trascrizione condannando, anche, il Comune di Giffoni al pagamento delle spese processuali quantificate in 3.000 euro. Sentenza appellata dal Comune il cui ricorso, il 21 febbraio 2017, è stato dichiarato inammissibile”. Prima della pronuncia del Tribunale però, il 14 ottobre 2015, il Comune di Giffoni interpellò di nuovo l’Istituto chiedendo la disponibilità ad affrancare altre 39 particelle per un totale di 32 ettari. “Il 7 ottobre 2016 – spiega Don Mario – l’Istituto rispose positivamente, stavolta attraverso nota dell’avvocato Indelli, bonificando i 97.750 euro quantificati e richiesti dal Comune e chiedendo la contestuale trascrizione che, anche stavolta, però non è avvenuta”. Ancora una volta “l’Istituto ha interpellato il Tribunale che, come per il caso precedente, ordinerà la trascrizione. Ne sono certo”.
Don Mario Salerno chiarisce un particolare non secondario: “Nei casi in cui è livellario enfiteuta, l’IISC non chiede agli enti concedenti l’affranco dei fondi; accade invece il contrario, come i casi di Giffoni dimostrano. Spesso invece, quando l’Istituto è concedente, viene sollecitato dagli enfiteuti utilizzatori all’affranco, che regolarmente si realizza. E’ successo di recente per fondi nei Comuni di Salerno, Campagna, Buccino, Castel San Giorgio, Battipaglia, Baronissi”. Ne viene che, per tutti gli altri casi (ossia laddove non è configurata l’enfiteusi), il rapporto sia di natura negoziale libera e che, quindi, chi non è titolare di enfiteusi paghi il fondo “a prezzi commerciali”.
Una partita economica che permette all’Istituto di reinvestire i fondi realizzati nell’acquisto di immobili che poi fitta, spesso per finalità sociali e quindi a costi certamente calmierati rispetto a quelli di mercato. Rapporti ricercati e preferiti dai privati in quanto configurano anche la (parziale) garanzia del perpetuarsi del rinnovo ad ogni scadenza contrattuale.