Marzo 2009, tredici mesi prima di morire, il Siberiano mi rilasciò l’intervista che potete qui ritrovare. Nella Salernitana ero il responsabile dell’area comunicazione e il direttore della rivista societaria. Telefonai a ‘Carminuccio’, accettò e ci vedemmo in sede. Erano circa le 15 e, complice l’assenza del direttore, ci accomodammo nell’ufficio di Fabiani. Fu un faccia a faccia di circa due ore. Ricordo che gli elencai i particolari di una (lunga) serie di trasferte fatte con i GSF negli anni 80-90, la mia giovane frequentazione della civettuola (piccola e con soffitto basso) sede di via Indipendenza al teatro Verdi, gli episodi con lui sempre protagonista impressi nella mia mente di tifoso della Salernitana con la maglia granata e i pantaloncini bianchi, con le numerazioni da 1 a 11, con in porta Marconcini o di quella di Boschin, Leccese, Vignini… All’improvviso mi accorsi che… era lui che stava capendo me.
Alcune delle frasi riportate nell’intervista sarebbero poi state adottate come slogan dagli ultras granata (es. “…riconoscevamo solo la casacca, non ci importava di chi la indossasse”), riproposte ad ogni commemorazione per onorarne la memoria. Da servizio giornalistico quel ‘pezzo’ diventò una sorta di testamento ideale nel nome dell’autenticità dei valori ultras di un tempo; le sue frasi hanno travalicato i confini per essere, ancora ora, oggetto di dibattito tra le tifoserie d’Italia onorate per il solo fatto di essere state da lui citate. Per me, per noi, il Siberiano era un eroe che la morte ha reso leggenda.
Quell’intervista mi fu rilasciata otto anni fa. Carmine Rinaldi aveva 45 anni.
Francesco D’Ambrosio