Forcella, quartiere Pendino, la Pignasecca, San Biagio dei Librai, via dei Tribunali, San Gregorio Armeno, i Quartieri Spagnoli, Chiaia e, via via, tutta la città.
33 anni di attesa hanno maturato una scenografia senza pari. Il popolo napoletano, in vista della matematica certezza della conquista del terzo scudetto, da settimane sta addobbando la città. Quasi mai si tratta, però, di semplici festoni.
Perlopiù gli striscioni contengono messaggi di rivendicazione, rivalsa, sfottò. Se da un lato l’immagine di Maradona – di un iconico che quasi sfocia nel religioso con tanto di tempietto e di venerazione dell’immagine del piede – non è nemmeno scalfita dai volti moderni di Osimhen o Kvara, la Juventus è il bersaglio preferito dagli azzurri di ogni età.
Su tutti i simbolismi, la ‘casa funebre’ e l’uomo-manifesto fanno dell’associazione di quei ‘colori’ al peggio, una costante regola.
Una assuefazione partenopea che nel ribaltamento degli storici valori calcistici trova eccezionale conferma. Ma c’è di più: in quel ‘sono napoletano, non sono italiano’ scritto su un cuore azzurro affondano le radici della ‘grande bellezza’ borbonica, qui ritenuta soffocata da quanto conseguì dalla unità d’Italia. Eppure, poco lontano, nella omonima piazza, è ospitata una delle statue di Garibaldi (a cavallo) più grandi d’Italia.
A Napoli anche le contraddizioni sono magnifiche.
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