In altre comunità, mosse da ben altre sensibilità ambientaliste, il salice selvaticamente cresciuto nelle pieghe della costruzione del comparto Crescent-Piazza della Libertà sarebbe diventato il simbolo dell’impegno dell’uomo a difesa della natura. A Salerno, allorquando bisognerà completare la costruzione della strada – sopraelevata rispetto alla quota ora carrabile – che definitivamente cingerà l’enorme emiciclo disegnato da Bofill, con ogni probabilità l’albero o sarà tagliato o, nella migliore delle ipotesi, ne si tenterà l’espianto. Operazione – quest’ultima – già effettuata in passato ed alla quale non tutti gli alberi sono sopravvissuti (vedi une delle tre alte palme ex Provincia dapprima ripiantata a lungomare, altezza Portanova, poi seccata).
Quell’albero è stato messo lì dal vento ed oggi è la cosa di gran lunga più naturale esistente nell’area; esso con il proprio immobilismo, eretto dalla forza della vita e non con una gru, avvolto nel suo verde lussureggiante oggi sussurra – alle orecchie di chi ascolta – tutta la violenza nel sacrificio della terra perpetrato in nome dell’economia vestita da urbanizzazione. Simbolicamente sarebbe allora altrettanto dirompente se il progetto dello stradone d’asfalto fosse percettibilmente modificato, riadattato con lo scopo preciso di mantenere lì quel albero che (impari) lotta per la vita: come l’uomo inerme davanti agli enormi carrarmati di piazza Tienammen o il ‘soldato Ryan’ da salvare di cui, però, pare nessuno si sia accorto.
“…Sei un fiore che è cresciuto sull’asfalto e sul cemento” cantava Jovanotti nella sua Serenata Rap. Chissà se, nella città degli ‘ambientalisti istituzionalizzati’, questo ritornello se lo ricordano.