Il coraggio di un prete. Don Mario Salerno, parroco a San Demetrio, traduce in azione il principio di disaccordo (e protesta) ufficialmente espresso poche ore prima dalla Conferenza Episcopale Italiana (leggi in basso). Ed alla posizione della CEI il sacerdote salernitano si rifà ampiamente nella sua lettera che, prima di essere invito ai fedeli a riprendere la strada della chiesa per le Messe domenicali a partire dal 10 maggio, è messaggio di sensibilizzazione nei confronti dei suoi omologhi ad adottare la medesima iniziativa. C’è anche altro: si leggono la delusione per la scarsa considerazione da parte delle Istituzioni della centralità del sacro principio nutrimento dell’anima nel percorso di pace e benessere psicologico e il fastidio per la infelice frase del Governatore campano, mai digerita, espressa a commento dei riti religiosi che causarono l’istituzione delle zone rosse nel Vallo di Diano. Lettera dai molteplici spunti, da leggere tutta d’un fiato. Di seguito è integralmente riportata: “La sera dell’11 marzo, mentre stava ancora parlando il Presidente Conte, mi permisi di scrivere un post dicendo: ‘a questo punto si impone anche la chiusura delle chiese’, considerando la drammaticità della situazione. Il giorno seguente abbiamo avuto la comunicazione sulla chiusura delle nostre chiese. E sinora siamo stati rigorosi nell’applicazione di tutti i provvedimenti imposti per il bene comune. Io, rimasto in canonica, ho ripreso la macchina dopo 45 giorni e solo per andare a fare la spesa nella zona industriale (per risparmio sui prodotti) rifornendo la mensa parrocchiale per la distribuzione quotidiana di generi di prima necessità a famiglie bisognose. Il prossimo 4 maggio le nostre chiese verranno riaperte ma solo per la preghiera personale in quanto non ci viene ancora consentito di celebrare i sacramenti con la presenza dei fedeli. E’ semplicemente un assurdo e a me non va di essere trattato come un imbecille o un lattante. E’ vero che noi preti, soprattutto parroci, non contiamo nulla per le nostre istituzioni anche se post mortem, si diventa tutti santi! Fa niente, perché a tutto supplisce la Grazia di Dio. Però a questo punto non possiamo non affiancare la CEI nell’alzare la voce verso provvedimenti che continuano a penalizzare la vita pastorale e spirituale delle nostre comunità e che chiaramente non è ritenuta ‘essenziale’ nella visione esclusivamente economicistica e utilitaristica della società. E non è ritenuta ‘essenziale’ per la ripresa e la rinascita del nostro Paese.
Rivolgo un appello a tutti i miei confratelli, diocesani e non: le nostre chiese consentono il tanto richiesto distanziamento sociale per cui, con le dovute precauzioni e presidi sanitari, celebriamo la nostra Messa festiva con il popolo. La gente, che ritengo abbia buon senso, saprà orientarsi e muoversi. Non avremo assembramento e saranno rispettate tutte le norme. Se mai, ove possibile, si celebri qualche messa in più onde consentire una presenza dilazionata. Nella mia chiesa ci sono trecento posti a sedere. Volendo mettere due persone ai lati opposti del banco e utilizzando i banchi in maniera alternata garantiremmo il massimo del distanziamento sociale ospitando anche cento fedeli, tutti con mascherine ovviamente. Dove sarebbe il problema? E questo per i momenti festivi. Nei giorni feriali vi è una presenza al massimo di venti fedeli, una cinquantina quando vi è qualche trigesimo in una chiesa così grande. Quale sarebbe il problema? Verremo denunciati? Ne pagheremo le conseguenze. E’ disobbedienza civile? E’ obiezione di coscienza? La si chiami come si vuole ma di certo non è stupidità o superficialità o dispregio della salute pubblica e se qualcuno dovesse ribadire che ‘se vi ammalate andando in chiesa, vi farete curare dalla chiesa’, vuol dire che ci faremo curare dalla chiesa, così come chi si dovesse ammalare al supermercato dovrà farsi curare dal supermercato, o chi dovesse ammalarsi sul treno si farà curare dalle Ferrovie dello Stato e così via. Dal 10 maggio celebriamo le sante messe festive a porte aperte. Probabilmente non verrà nessuno o probabilmente bisognerà mettere i ‘vigilantes’. Non lo so ma la chiesa di San Demetrio, già bonificata e lo sarà ancora in settimana prossima, è pronta per accogliere il ritorno della comunità, nel rispetto rigoroso del distanziamento sociale e di ogni precauzione. Sento qualche buon cristiano dire ‘ma mi sembra inopportuno l’intervento della CEI… che ci costa attendere altri quindici giorni… la salute prima di tutto’; probabilmente sfugge l’orientamento di fondo in queste scelte: la nostra vita sacramentale non è ritenuta ‘essenziale’, a differenza dello sport, delle corse al parco, delle passeggiate col cane e così via. Tutto qui. E non è poco! A me non sta bene. E a qualcuno che dice ‘… ma la chiesa è anche in casa e la comunità può esserci anche senza eucaristia…’ dico che deve ripassarsi qualche testo di ecclesiologia e di sacramentaria, fermo restando che siamo stati comunità e abbiamo respirato comunione e comunità anche in questa quarantena di distanza ma non di solitudine. Sottoscrivo, perciò, pienamente e convintamente quanto i vescovi italiani hanno espresso: ‘I vescovi italiani non possono accettare di cedere compromesso l’esercizio della libertà di culto. Dovrebbe essere chiaro a tutti che l’impegno al servizio verso i poveri, così significativo in questa emergenza, nasce da una fede che deve potersi nutrire alle sue sorgenti, in particolare la vita sacramentale‘”.
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