Di Stefano Masullo*
Walter Scheidel, storico di Stanford ed autore del volume La Grande Livellatrice, sostiene ed afferma che la disuguaglianza sia inevitabile e che a ridurre il divario tra ricchi e poveri sia solo il fattore molto indesiderabile della violenza, declinata in guerra, rivoluzione, crollo dello Stato, pandemia.
La disuguaglianza è inevitabile in quanto è parte di tutte le organizzazioni economiche, politiche e sociali da quando nell’Olocene l’uomo è diventato agricoltore e pastore ed ha iniziato ad accumulare risorse produttive: terra, piante, animali. E’ da quando la società si è organizzata in modo da definire i diritti di proprietà su queste risorse e i meccanismi per trasmetterle tra generazioni che il mondo è sempre stato disuguale.
L’inevitabilità della disuguaglianza non è dimostrata solo dalla sua persistenza storica, piuttosto dal fatto che le terapie per ridurla sono tutte altamente indesiderabili.
La grande livellatrice o distruzione creatrice per usare il termine di Joseph Schumpeter è sempre stata la violenza, nei panni dei quattro Cavalieri dell’Apocalisse: guerra; rivoluzione trasformativa; crollo dello Stato; pandemie letali.
Solo quando sul mondo sono calati questi fenomeni la distanza tra ricchi e poveri si è ridotta sensibilmente.
La conclusione che ne trae è la seguente: «Tutti noi che apprezziamo una maggiore uguaglianza economica faremmo bene a rammentare che, con rarissime eccezioni, essa è stata sempre generata solo nel dolore. Fate attenzione a ciò che vi augurate».
La disuguaglianza è qui per restare, a meno che si inneschino processi politici davvero drammatici. Conclusione attenuata però da due riflessioni, una ottimista ed una pessimista. L’ottimista è che non ci sono motivi per ritenere che la disuguaglianza debba essere azzerata. Forse si dovrebbe iniziare a riflettere su quale sia una disuguaglianza socialmente e
politicamente efficiente e sostenibile e lavorare al margine con misure da tempi di pace per raggiungerla.
La pessimista è invece che l’epoca degli interventi marginali, del bilancino saggio tra efficienza e sostenibilità, potrebbe essere finita dopo i grandi disagi della crisi economica. La radicalizzazione delle posizioni politiche potrebbe portare a scelte redistributive estreme, forse senza la compartecipazione dei cavalieri dell’Apocalisse, ma comunque scellerate.
Il dibattito in questa fase storica su come rendere il mondo più equo, come evidenziato da recenti ricerche di Thomas Piketty ed analisi di Giorgio Barba Navaretti, in cui la distanza tra i più e i meno fortunati cresce soprattutto all’interno dei Paesi, propone molte armi per ridurre il divario: tassazione fortemente progressiva dei redditi e della ricchezza; salari minimi; migliore accesso alle scuole e all’educazione per i bambini disagiati.
Nel corso della recente Storia si trova nutrita evidenza che le Istituzioni in tempo di pace abbiano influenzato tale fenomeno, in entrambe le direzioni. Infatti la ripresa della disuguaglianza a partire dagli anni ‘ottanta’ è stata causata da modifiche politiche e istituzionali opposte a quelle del primo ‘novecento’ che si sono intrecciate a dinamiche di domanda e offerta e all’evoluzione dei mercati.
Dalla parte di un livellamento della disuguaglianza si può annoverare la riduzione drammatica del reddito dei più ricchi in tutti i Paesi occidentali avvenuta nel periodo delle due guerre mondiali che hanno distrutto grandi ricchezze poi consolidatasi grazie ad una revisione radicale delle istituzioni politiche e sociali: il rafforzamento della democrazia, il suffragio universale, la rappresentanza sindacale.Istituzioni che hanno continuato a ridurre la disuguaglianza fino agli anni Ottanta.
Dalla parte dell’aumento delle disparità sociali vi sono state la riduzione drastica dell’imposta sui redditi elevati e della tassazione sui capitali; meno rappresentanze sindacali; liberalizzazioni e privatizzazioni con un forte trasferimento di risorse ai più ricchi; globalizzazione (ancora una scelta politica).
Le riforme istituzionali della prima metà del secolo sono state essenzialmente trainate dagli eventi bellici. Ad esempio l’aumento delle tasse necessario a finanziare lo sforzo bellico. O nei Paesi con regimi più autocratici l’aumento dei debiti pubblici e la distruzione della ricchezza finanziaria, soprattutto dei più ricchi, attraverso l’inflazione.
L’inversione delle politiche redistributive negli anni Ottanta, invece, può essere spiegata dall’esaurimento degli strascichi della violenza bellica e da un lungo periodo di stabilità e pace che ha favorito la globalizzazione dei commerci e della finanza e dunque, in parte, anche della disuguaglianza.
L’impatto delle politiche in tempo di pace è infinitamente minore rispetto a quando intervengono i cavalieri dell’Apocalisse e cita come esempio la Francia, laddove le quote di reddito più elevate diminuirono sessantotto volte più rapidamente durante la guerra che tra il 1945 e il 1983.
Secondo Walter Scheidel le politiche redistributive in tempo di pace sarebbero poco efficaci ed incisive nel ridurre la disuguaglianza, soprattutto quando lavorano forze sotterranee che possono comunque aumentare la distanza tra i più e i meno fortunati: globalizzazione, immigrazione, progresso tecnologico.
*Scrittore,
magnifico rettore ISFOA
Libera e Privata Università di Diritto Internazionale
Università telematica a distanza
Ente di ricerca senza scopo di lucro e di interesse generale