Roma – Martina sul palco è quasi schiacciato dal peso della responsabilità di dover scegliere la rotta sulla quale indirizzare un partito la cui base chiede di cambiare per non scomparire. Compito improbo: da un lato la necessità di allineare ai tempi un paradigma ideologico e lessicale elaborato un secolo fa (“ora dobbiamo confrontarci con i temi della immigrazione, del capitale umano, della questione di genere, delle disuguaglianze, dell’ambientale e del clima, della rivoluzione tecnologica che ci porta ad essere curvi sui telefonini…”), dall’altro i sovranisti che molto più pragmaticamente e scevri dalle altrui pesanti sovrastrutture ideologiche, intercettano e traducono in consenso il ‘sentiment’ della maggioranza dei votanti sui temi immediati; a ciò si aggiunge il correntismo interno che ha bloccato il processo democratico di rinnovamento della classe dirigente. Che risposte dare, allora, alle diverse migliaia di persone che, più che per far festa – l’entusiasmo è stato il grande assente – domenica sono arrivate in piazza del Popolo per capire se per il Pd c’è futuro? Martina va diretto: “Serve un nuovo Pd per una nuova sinistra. A coloro che, dal centro sinistra, il 4 marzo non ci hanno votato dico che abbiamo capito la lezione. Ora però ci diano una mano perché l’Italia non può andare a sbattere per colpa di questi che governano in un modo folle. Allora il Pd ritorni in strada perché noi siamo somma, non divisione”. Sono questi gli unici passaggi innovativi che, seppure descrivano un’intenzione di apertura, non sviluppano le ragioni programmatiche su cui Martina basa la richiesta ai non-Pd di cambiare il colore del proprio voto. Per il resto, il discorso di circa un’ora è infarcito di riferimenti storico-filosofici (Martina arriva a citare il laburista Corbin sull’avidità del capitalismo, Bauman sul rapporto uomo-lavoro e Martin Luter King) che appesantiscono i concetti e, di certo, non scatenano giubilo nelle espressioni e nei volti già provati di tanti anziane e anziani e dei meno numerosi giovani: gli applausi di prassi appaiono più come aperture di credito che convinte affermazioni. Martina vira, torna a parlare da segretario facente funzioni di un partito minoritario e di opposizione e il linguaggio ne risente. Livoroso contro 5 Stelle e Lega, s’arrocca sulle posizioni europeiste (“non c’è altra sovranità fuori dall’orizzonte europeo; al di fuori l’Italia non esiste e diventa succursale di altre potenze amiche di Salvini ma non dell’Italia”) e pro immigrazione (“essere straniero non è una colpa”). Chiede le “dimissioni di Toninelli” per il caso-Genova, al Presidente del Consiglio di “battere un colpo”, cita il patto “Berlusconi-Salvini sulla Rai” (omettendo però di fare mea culpa su quello del Nazareno). Quando dice “ci serve la svolta dal punto di vista dell’azione del pensiero” e arringa sul concetto della necessità “di una comunità di destino che senta su di sé la gravità del momento”, in lui cala la voce e nei manifestanti la voglia di applaudire.
PICARONE – Critico già un minuto dopo la fine della manifestazione è Franco Picarone, consigliere regionale, presidente della Commissione bilancio, tra i pochissimi ‘generali’ di De Luca e capo della delegazione salernitana (tre pullman) domenica a Roma. Da piazzale Flaminio, dice: “Quelle di Martina rimarranno solo parole fino a quando non si troverà il modo di concretizzarle. Bisogna cambiare i codici del nostro linguaggio e della nostra comunicazione: oggi il nostro messaggio non è efficace perché la classe dirigente del Pd non parla il linguaggio della gente”. Traduce in esempio: “Le due parole di Salvini ‘porti chiusi’ arrivano subito. Noi invece non riusciamo a spiegare che Minniti aveva rimpatriato 25mila migranti. Ma non è solo questo: il Pd ha commesso tanti errori che hanno allontanato il partito dalla gente: la scuola, le banche…”. Parla di linguaggio e comunicazione e subito, alle auriche spiegazioni di Martina riecheggiano – per contraltare – le concrete asserzioni di De Luca. Sul Governatore, Picarone dice: “E’ stato l’antesignano di tutta la classe politica italiana: da vent’anni predica il binomio ‘sicurezza-integrazione’ che in qualità di Sindaco di Salerno ha concretizzato nel rapporto con la comunità dei senegalesi. Obiettivamente, il suo, non è lo stesso linguaggio del Pd, il partito su questi temi è ancora assente”. Sulle recenti assoluzioni sul caso-Crescent: “Le Istituzioni funzionano, c’è stata giustizia vera anche se è stato rallentato il processo di sviluppo di cui Salerno aveva bisogno. Ora avanti tutta con il processo di riforma della regione Campania”. Chiude sul Pd: “E’ un partito spaccato. Per rilanciarsi deve finire il correntismo, c’è bisogno di ritrovare unità, un linguaggio rinnovato e di un congresso subito che dia una leadership nuova di cui il Paese ha bisogno”.