Il 22esimo sbarco a Salerno racconta altre storie: alla domanda di prassi sulle nazionalità di provenienza, il Prefetto risponde in maniera sibillina (“alcune, stavolta, sono diverse dalle solite…”) stimolando la curiosità del cronista. E, in effetti, considerando i numeri complessivi (401 migranti vivi) appare notevole la proporzione tra gli extracomunitari non di colore e questi ultimi. Approfondendo si comprende che, stavolta, ad arrivare sono anche 26 migranti apparentemente non disperati, con bagagli e figli al seguito, vestiti con abiti propri e non con le tute fornite dalla nave militare iberica Cantabria, con scarpe ai piedi mentre o subsahariani sono scalzi (particolare che significa molto), con in mano tablet. Da dove vengono? “From Libya”, risponde la signora seguita da due bimbi tanto piccoli che appena camminano.
Libia, appunto: il Paese centrale in tutta la vicenda dei flussi migratori. Da lì passa la maggioranza dei migranti che intende raggiungere l’Europa; lì la Procura di Salerno si sta indirizzando nella ricostruzione dei 26 omicidi di ragazzine e, fatto nuovo, da lì partono coloro che in Libia avevano una degna posizione sociale ma che, evidentemente, non possono più difendere dal caos istituzionale e di (in)sicurezza letale come un precipizio. Non a caso uno dei due presunti scafisti fermati a Salerno è libico. Situazione che ben descrive l’Espresso nell’ultimo reportage nell’ex colonia italiana: “ Migliaia di migranti carcerati nei capannoni usati dai trafficanti come ‘bombe’ umane da sganciare sull’Italia nel caso in cui non dovessero essere accettate le logiche del ricatto. I superstiti raccontano l’intreccio criminale tra chi lucra sul commercio di esseri umani e i poliziotti di Tripoli. Gli affari delle milizie armate sono coperti dagli ufficiali in mare. Un Paese poverissimo e in balia della corruzione, in cui si vive di illegalità e contrabbando. E i morti non si contano”. Tanto che chi può (ossia ha disponibilità economiche), paga e fugge. Come hanno fatto le donne libiche sbarcate a Salerno tesaurizzando un benefit rispetto ai disperati che giungono dal sub Sahara: non sono passate per i campi di concentramento, e si vede. Un’altra racconta di aver visto dei naufragi in un misto di speranza per la nuova vita che inizia che ancora, però, non riesce a scrollare da dosso l’incubo per quanto visto e vissuto. Racconti il cui senso è racchiuso in poche parole pronunciate dal mediatore culturale, di lingua-madre araba, che assiste il gruppo: “Vi sono tre governi ed un conflitto…”. In pochi minuti, sulla banchina del porto di Salerno, le storie e le vite si incrociano, si intrecciano. Come due mondi che vengono improvvisamente a contatto. “Posso scattarle una foto?” chiede la giornalista. Lei, con il capo avvolto dall’hijab dopo qualche attimo di esitazione risponde indicando di lato con lo sguardo e dicendo “husband” (marito). Rifiuta, si volta e sale sul pullmino a metabolizzare quel che è stato e a immaginare quel che sarà. Il faticoso percorso di integrazione è appena iniziato.
Con i subsahariani sbarcano famiglie libiche in fuga dal caos – VIDEO
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