Gli uomini del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Rovigo hanno ultimato le contestazioni fiscali a seguito delle indagini penali che condussero, nell’ottobre del 2015, nell’ambito dell’Operazione “Aracne”, ad uno dei più importanti sequestri per reati tributari avvenuti nel territorio rodigino negli ultimi anni.
“Gli accertamenti che si sono protratti per oltre due anni – spiega il Comando Provinciale GdF di Rovigo – hanno portato alla constatazione nei confronti di una delle società maggiormente coinvolte nel sistema fraudolento, di costi indeducibili per utilizzo di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti per € 7.536.551 e di un’evasione all’IVA per € 1.713.146. Il responsabile è stato segnalato all’Autorità Giudiziaria inquirente per indebita compensazione di imposte dovute (art. 10 quater D.Lgs. 74/2000). A seguito di questa ultima operazione la frode fiscale, complessivamente accertata, è stata quantificata in 70 milioni di euro di fatture false emesse e in 12 milioni di euro di evasione all’IVA. La prima fase delle indagini, coordinate dalla Procura della Repubblica di Rovigo, era culminata in un sequestro per equivalente, sulla base del quale sono ancora vincolati beni mobili e immobili, per circa 1 milione di euro, di proprietà del gruppo di soggetti che aveva organizzato l’imponente frode fiscale. Nella circostanza erano stati indagati 9 responsabili, per la maggior parte originari della provincia rodigina, molti dei quali con precedenti specifici, e 21 erano le società coinvolte di cui 15 nazionali (alcune ubicate a Ferrara, Caserta, Udine e Padova) e 6 in territorio estero (5 in Romania e una in Slovacchia). Il sistema illecito scoperto si basava sull’utilizzo di società costituite ad hoc per evadere le imposte e maturare crediti IVA inesistenti che venivano poi utilizzati in compensazione per il pagamento di altre imposte ovvero di contributi previdenziali. In particolare, società licenziatarie di famosi brand di moda conferivano incarico di confezionamento abiti ad un’impresa front office che commissionava, a sua volta, i lavori ad altre società ad essa riconducibili; queste ultime mutavano spesso denominazione e compagine facendo ruotare i propri lavoratori allo scopo di sviare le indagini. Tali società affidatarie utilizzavano ed emettevano le false fatturazioni per beneficiare di fittizi crediti IVA da compensare con le altre imposte, permettendo così ai sodali di essere particolarmente concorrenziali sui prezzi praticati ai committenti. In definitiva una vera e propria ‘tela di ragno’ tessuta, senza successo, per favorire la concorrenza sleale di alcune imprese ed imbrigliare le indagini”.