Invitato ad intervenire alla tavola rotonda presso la residenza dell’Ambasciatore britannico in Italia Jill Morris, sul tema “Lotta alla corruzione, antiriciclaggio e tracciabilità dei flussi finanziari”, il presidente Anac Raffaele Cantone non ha badato a fronzoli.
Di seguito il testo della sua relazione:
“Sono molto contento del vostro invito e per provare a rendere il mio breve intervento il più utile possibile, cercherò di apportare al dibattito qualche contributo sulla base della mia esperienza professionale, prima come magistrato impegnato nella lotta alla criminalità organizzata e attualmente come presidente dell’Anac, l’Autorità nazionale anticorruzione.
Per effetto dell’economia globale la componente affaristica del crimine organizzato ha assunto oggi dimensioni tali da dimostrare quanto fossero profetiche e lungimiranti le parole di Giovanni Falcone, che già negli anni Ottanta, nella conduzione delle sue indagini su Cosa nostra, aveva coniato l’espressione con cui avete intitolato questa tavola rotonda: Follow the money.
Questo intreccio, e il relativo tema dei flussi finanziari illeciti, è di certo uno degli aspetti più allarmanti e, a suo modo, rappresenta il tratto peculiare della cosiddetta ‘terziarizzazione’ delle mafie, divenuta ormai in gran parte criminalità economica. Disponendo di grandi risorse liquide, le consorterie criminali hanno necessità del reimpiego dei capitali nelle attività lecite per renderli utilizzabili. Di fatto, si tratta di un doping dell’economia che uccide la concorrenza delle aziende sane e mina l’efficienza, dal momento che vengono abbandonati i criteri di merito. Ed è in questo passaggio che spesso si annidano i fenomeni di corruzione, perché l’ingresso nel sistema legale del denaro sporco richiede la necessità di entrare in rapporto con la Pubblica amministrazione e talvolta la politica.
Non ho mai avuto dubbi al riguardo ma proprio l’esperienza maturata negli ultimi anni all’Anac mi ha sempre più convinto che questo fenomeno non potrà mai essere arginato con la mera repressione giudiziaria. Certo, sono fondamentali la collaborazione internazionale e soprattutto ‘l’allineamento’ dei sistemi penali, visto che gran parte dei Paesi al di fuori dell’Italia non prevedono nemmeno l’associazione a delinquere di stampo mafioso nel loro ordinamento. È impensabile però ritenere che si possa vincere questa battaglia senza agire sul fronte della prevenzione. E proprio la prevenzione è uno dei principali motivi per cui è stata istituita l’Autorità che presiedo.
Per spiegare quello che stiamo facendo in Italia, soprattutto sul fronte degli appalti pubblici, che costituisce il comparto in cui è maggiore il rischio di infiltrazioni criminali in virtù delle cifre che riesce a muovere, vorrei partire da un paragone ‘medico’: per guarire da una malattia non bastano le cure, serve una stile di vita sano che riduca i fattori di rischio che possono concorrere all’insorgere di determinate malattie. Nel 2014, quando mancava un anno all’inizio di Expo, gli scandali e gli arresti minacciavano lo svolgimento della manifestazione. Per tornare al paragone di prima: il malato rischiava seriamente il decesso. Per recuperare il tempo perso, cercando di assicurare rapidità delle procedure ma al tempo stesso i necessari controlli di legalità, abbiamo messo a punto un modello di ‘vigilanza collaborativa’ che di fatto consiste nella verifica preventiva delle operazioni di gara: bandi, lettere di invito, disciplinari, capitolati ma anche schemi di contratto e verifiche ex post come le aggiudicazioni o le varianti al progetto. Alla fine Expo, che rischiava di esporre l’Italia a una figuraccia internazionale, si è tenuta regolarmente e non ci sono stati più scandali, a dimostrazione che non è vero il luogo comune secondo cui maggiori controlli comportano un allungamento dei tempi. Sotto questo punto di vista l’esperienza italiana può rappresentare a pieno diritto un benchmark. In parte, del resto, è già accaduto. Il modello congegnato in occasione di Expo, in grado di assicurare rispetto della legalità e speditezza delle procedure, è infatti divenuto una best practice riconosciuta a livello internazionale dall’Ocse, che ha elaborato un apposito documento in cui invita gli operatori del settore e i Paesi aderenti all’organizzazione a rifarsi a esso.
Fra le ultime novità introdotte nella legislazione vanno poi segnalate il sorteggio delle commissioni giudicatrici per le gare di importo più elevato e l’abbandono del mero principio del risparmio nella valutazione delle offerte di gara, a vantaggio di criteri qualificanti che sappiano coniugare economicità e qualità dei lavori.
Ovviamente non c’è solo la prevenzione. La legge prevede anche la possibilità di intervenire ‘a valle’, quando il fenomeno corruttivo si è già verificato, tramite il commissariamento di un appalto in via straordinaria e temporanea, per evitare che i cantieri si fermino ma al tempo stesso assicurando il ripristino della legalità. Soprattutto, scongiurando che un’azienda accusata di corruzione possa conseguire profitto dall’esecuzione dei lavori, visto che – in caso di condanna – gli utili vengono confiscati.
Il controllo delle procedure con cui vengono assegnati gli appalti pubblici rappresenta però solo un pezzo di questa battaglia. Altrettanto fondamentali sono i Piani di prevenzione della corruzione, con cui ogni pubblica amministrazione italiana ogni tre anni deve individuare le aree più a rischio al proprio interno, indicando le misure che intende adottare per prevenire possibili fenomeni corruttivi, la tempistica con cui realizzarli e i responsabili dei controlli. Un discorso che, com’è evidente, è strettamente intrecciato con quello della trasparenza delle procedure e dell’impiego pubblico delle risorse, aspetti su cui credo sia piuttosto l’Inghilterra ad avere molto da insegnare.
In Italia il crimine organizzato e la corruzione sono problemi atavici (‘culturali’, afferma qualcuno con fin troppa condiscendenza talvolta) ma il passato recente ci insegna che anche le condizioni sfavorevoli possono tradursi in un punto di forza se si produce un cambio di mentalità. Il fatto di avere delle mafie profondamente radicate in alcuni territori del Paese, ad esempio, ha portato nel tempo – grazie anche al convinto sostegno dell’opinione pubblica – a una risposta di primissimo livello dal punto di vista legislativo e investigativo. Sul fronte della corruzione bisogna rilevare come purtroppo non c’è ancora una analoga consapevolezza della sua pericolosità sociale. Se riusciremo a compiere lo stesso salto di qualità, possiamo sperare di raggiungere gli stessi traguardi che hanno consentito negli ultimi decenni di infliggere colpi durissimi al crimine organizzato”.