“Il 16 marzo 1978 in via Fani c’erano anche le Brigate Rosse ma ho dubbi che siano stati i brigatisti a effettuare il rapimento ed a realizzare l’omicidio. In molti, nel resto del mondo, avrebbero voluto neutralizzare Aldo Moro”. Il deputato Gero Grassi reinterpreta la storia del rapimento e della uccisione dello statista democristiano. Lo fa portando all’attenzione delle quinte classi dell’Istituto Genovesi-Da Vinci di Salerno elementi certamente inediti ad un grande pubblico assuefatto alla verità politico-giudiziaria finora ricostruita. Grassi rompe la razionale sequenza ‘pianificazione dell’azione terroristica-rapimento/processo-omocidio’ infarcendo le due ore di intervento con notizie, fatti, nomi emersi “dai 5 milioni di pagine scaturite da 8 processi e delle 6 commissioni. Che ho letto tutte…”, forte del suo ruolo di componente la Commissione Parlamentare di Inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro. Nell’aula magna risponde alle sollecitazioni del giornalista Eduardo Scotti e della professoressa Masturzo, poi spiega al giovane Stefano Pignataro – Presidente Consiglio studenti Dipsum-Unisa – Associazione Linguisticamente – (a lui il merito dell’intuizione dell’iniziativa) la ragione dei suoi 384 incontri sul caso più dibattuto della storia repubblicana italiana: “Fino a che non sapremo la verità, non saremo completamente liberi”. Guarda il dirigente scolastico Annunziata, che negli indirizzi di saluto aveva paragonato la rilevanza del caso-Moro per gli italiani all’assassinio-Kennedy per gli americani, dicendo che “Salerno non è stata impermeabile al terrorismo. Anzi, qui c’erano brigatisti molto attivi, tra cui qualche miliardario di allora”. Dichiara che “Moro era inviso perché stava tentando di alterare gli equilibri scaturiti dall’accordo di Yalta” e che “il primo tentativo documentato di ucciderlo risale al Piano-Solo del 1963 che avrebbe dovuto istituire in Italia un regime militare”. Parla della minaccia ricevuta da Kissinger nel 1974 (“o la smette o la pagherà cara”); svela che il 3 agosto 1974 Moro fu fatto scendere due minuti prima che il treno Roma-Monaco partisse: quel convoglio era l’Italicus che qualche ora dopo sarebbe saltato in aria; che nel 1977 Moro spinse verso una decisa concretizzazione la sua idea socio-politica di Europa dei popoli attribuendogli la frase “è arrivato il momento di spostare i comunisti da Mosca in Europa” e che queste sue intenzioni “non andavano bene né agli USA, né ai russi (che altrimenti avrebbero dovuto spiegare le ragioni dei carri armati nelle piazze), nè all’Inghilterra”; svela che “il 17 gennaio 1978 ad Arezzo, su convocazione di Licio Gelli, si riunì la loggia massonica P2 alla presenza dei massimi vertici delle forze armate per organizzare una strategia di contrasto a Moro su invito della Nato”; argomenta le figure (“controverse”) del generale dei Carabinieri Francesco Delfino e del professore Sensani (“che organizzò, poi, il rapimento di Ciro Cirillo”); parla del generale Bozzo e del febbraio 1978 quando “arrivò in Italia la ‘soffiata’ del capo dei servizi segreti in medio oriente su una imminente azione nel nostro Paese”.
Poi elenca le numerose incongruenze dell’azione terroristica del rapimento: “96 colpi in 56 secondi, provenienti anche dal lato destro (provocheranno due morti) e non solo dal lato destro come affermano i brigatisti”; “l’auto su cui era Moro non ha mai tamponato quella dei brigatisti come era stato affermato”; “lo strano caso del bar Olivetti di via Fani che, chiuso quella mattina secondo quanto scritto negli atti, in realtà era aperto tanto che un caporedattore Rai vi aveva fatto colazione; lo stesso mi dettagliò i fatti nel 2014”. Per Grassi proprio quel bar rivestirebbe importanza primaria nella ricostruzione di tutta la vicenda: “Lo frequentavano Frank Coppola, Tano Badalamenti, il vice comandante generale di Gladio, Massimo Carminati, Renatino Depedis: lì si vendevano migliaia di armi e quella fu la centrale operativa del rapimento-Moro”. Quindi, per Grassi “in via Fani c’erano anche le BR ma soprattutto ‘ndrangheta, mafia, servizi segreti deviati ed i tedeschi (non è chiaro se terroristi o della Gladio germanica), tanto che durante l’attacco due persone ripetevano ‘achtung, achtung’”. Ammette: “Nel 1978 nessuno avrebbe potuto realizzare un’azione del genere e tenere Moro nascosto a Roma per 55 giorni senza il consenso di Gladio tedesca, Olp, Ira, Eta, Mossad, Cia, KGB”. Poi dice: “Era impossibile trovare Moro: le forze armate erano infarcite di uomini della P2”. Annuncia che “giovedì i RIS verranno a portare in commissione le risultanze delle ulteriori indagini sull’autopsia e sulla Renault 4”, tira in gioco il Vaticano e torna a parlare di Renato Depedis. Il filmato inizia proprio quando fa riferimento al malavitoso romano.