Cave attive nel 25% dei Comuni italiani. Settore da 2 mld sottoposto al… Regio Decreto di Vittorio Emanuele III del 1927. Le Regioni legiferano dal 1977

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4 – Cave attive nel 25% dei Comuni d’Italia. Settore dal valore di 2 mld sottoposto al… Regio Decreto di Vittorio Emanuele III del 1927; le Regioni legiferano dal 1977

Rapporto-cave di Legambiente: numeri impressionanti. Sono 2.012 i Comuni con almeno una cava attiva sul proprio territorio (il 25,1% dei Comuni italiani) e quasi 1.000 i Comuni che hanno almeno 2 cave. Sono addirittura oltre 1.680 quelli con almeno una cava abbandonata o dismessa e 1.150 con almeno due siti. “Del resto – chiariscono da Legambiente – le attività estrattive hanno accompagnato i processi insediativi e l’identità delle nostre città (pensiamo agli straordinari marmi delle cattedrali toscane, lombarde o pugliesi), riguardano da vicino tanti settori tradizionali dell’economia – come edilizia e infrastrutture -, incrociano alcuni dei marchi più noti del Made in Italy nel Mondo, come la ceramica e i materiali pregiati. Ma soprattutto sono attività con un impatto rilevante nei territori e inevitabilmente sollecitano ragionamenti che riguardano il rapporto con una risorsa non rinnovabile come il suolo e di gestione dei beni comuni. Per capire la situazione delle attività estrattive in Italia occorre partire dai numeri e dai cambiamenti avvenuti a seguito della lunga crisi del settore delle costruzioni, cominciata nel 2008 e non ancora conclusa. La fotografia aggiornata della situazione italiana è impressionante. Le cave attive sono 4.752 mentre sono 13.414 quelle dismesse nelle regioni in cui esiste un monitoraggio. A queste infatti bisognerebbe sommare le cave abbandonate del Friuli Venezia Giulia, Regione in cui non esiste un monitoraggio nè altre fonti, e di Lazio e Calabria, dove gli ultimi dati risalgono ormai a qualche anno fa e sono di fatto parziali, il numero complessivo arriverebbe ad almeno 14 mila cave dismesse. Rispetti agli ultimi anni si nota ancora marcatamente la crisi del settore edilizio che ha ridotto i dati delle quantità estratte in particolare per sabbia e ghiaia, ma i numeri rimangono comunque molto alti. Sono 53 i milioni di metri cubi estratti nel 2015 solo per sabbia e ghiaia, materiali fondamentali nelle costruzioni, ma elevati sono anche i quantitativi di calcare (22,1 milioni di metri cubi) e di pietre ornamentali (oltre 5,8 milioni di metri cubi). L’estrazione di sabbia e ghiaia rappresenta il 61% di tutti i materiali cavati in Italia; ai primi posti Lombardia, Puglia e Piemonte, che da sole raggiungono oltre il 59,3% del totale estratto ogni anno con circa 31,4 milioni di metri cubi”.

“In questi anni – continua Legambiente – è avvenuto un secondo cambiamento importante all’interno del settore, con una divaricazione tra materiali inerti e di pregio. Mentre il prelievo di inerti ha subito la crisi del settore delle costruzioni (da qui la riduzione del numero di cave, come delle imprese e degli occupati nel settore), le estrazioni di materiali lapidei hanno visto risultati record, registrando il sesto anno consecutivo di crescita. Un successo dovuto in particolare alle esportazioni, che nel 2015 per la prima volta nella storia hanno superato come valore i 2 miliardi di euro (in crescita verso gli Stati Uniti e gli Emirati Arabi). Nello specifico, sono i prodotti finiti e semilavorati a trainare la corsa, con vendite per 777 milioni (+7,3). Crescita a doppia cifra anche per le esportazioni di macchine e tecnologie italiane di estrazione e lavorazione, con un controvalore di 616,1 milioni di euro (+28,8%). Le prospettive inoltre sono decisamente positive per il settore, con il volume dei lapidei di pregio estratti nel mondo che dovrebbe salire a circa 170 milioni di tonnellate nel 2020, con un impiego non lontano dai due miliardi di metri quadrati equivalenti. A governare un settore così delicato per gli impatti e gli interessi è a livello nazionale ancora un Regio Decreto di Vittorio Emanuele III del 1927, con indicazioni chiaramente improntate a un approccio allo sviluppo dell’attività oggi datato e che non tiene in alcun modo conto degli impatti provocati al territorio. Purtroppo ancora in molte Regioni, a cui sono stati trasferiti i poteri in materia nel 1977, si verificano situazioni di grave arretratezza e rilevanti problemi legati a un quadro normativo inadeguato, a una pianificazione incompleta e una gestione delle attività estrattive non sempre molto chiara”.

REGIONI – Mancano piani specifici di programmazione in Veneto, Abruzzo (in fase di approvazione), Molise, Sardegna, Friuli Venezia Giulia, Calabria e Basilicata: tutte regioni che non hanno un piano-cave, a cui si deve aggiungere il Piemonte che prevedeva solamente piani di indirizzo rimandando alle Province l’approvazione del piano-cave; situazione opportunamente cambiata con l’approvazione della recente nuova Legge Regionale. L’assenza dei piani è particolarmente preoccupante perché in pratica si lascia tutto il potere decisionale in mano a chi concede l’autorizzazione. E se si considera il peso che interessi economici e la criminalità organizzata (le Ecomafie) hanno nella gestione del ciclo del cemento e nel controllo della aree cava, è particolarmente preoccupante una situazione in troppe aree del Paese praticamente priva di regole. Delicata è poi la situazione quando si progettano e realizzano infrastrutture, perché in quei casi anche nelle Regioni provviste di Piani si esce dalle previsioni per cercare siti di cava ulteriori e l’esito è quasi sempre quello cui siamo abituati a vedere intorno alle principali strade e ferrovie italiane, con ai margini enormi buchi nelle colline. In generale tutte le Leggi Regionali risultano indietro rispetto a una idea di moderna gestione del settore compatibile con il paesaggio e l’ambiente, in particolare per quanto riguarda le aree da escludere per l’attività, il recupero delle aree, la spinta al riuso di inerti provenienti dalle demolizioni edili.

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