BANGLADESH, SENEGAL, MAROCCO, TUNISIA: I MUSULMANI DI SALERNO CON MOSCHEA AL CORSO

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Ore 13, via degli Orti. I primi tre fedeli sono appoggiati al muro, il cancello è ancora chiuso. Impugnano un filo di perle nere incoronate e farfugliano qualcosa sottovoce, sembra una preghiera sussurrata. Due sono originari del Senegal, uno viene da Karachi, Pakistan. Attendono il predicatore che apra loro le porte della piccola Moschea di Salerno. E’ venerdì e per i musulmani è il giorno sacro della settimana. Da quasi due anni la comunità islamica locale si riunisce in un open space terraneo di circa 150 mq, in una traversa del Corso. L’ingresso è attraverso un varco pedonale che dà in una corte tra palazzi: su un lato i box auto privati, sull’altro le vetrine di una tra le più note trattorie salernitane. Il locale è nell’angolo: regolarmente fittato, ha anche un punto-acqua con lavabo necessario per il rituale islamico. una telecamera – strategicamente posizionata sul muro opposto – riprende i movimenti di chiunque si avvicini all’ingresso. “Ce l’ha consigliata la polizia” tiene a puntualizzare Uddin, il segretario dell’organizzazione religiosa. Passa mezz’ora, il predicatore (che sostituisce l’Imam Mohammed Goulam andato via da Salerno) non arriva ma, in compenso, appare un uomo di piccola statura che saluta e apre dapprima il cancelletto, poi la porta della Moschea. I tre si tolgono le scarpe, entrano e, dopo il rituale con l’acqua, si posizionano inginocchiati verso la Mecca sulla distesa di tappeti persiani. Giungono altri fedeli in piccoli gruppi. Tutti fanno le stesse cose con gli stessi ritmi. Impressionante il silenzio che trasforma un’ora sonnacchiosa del primo pomeriggio in un momento solenne. In pochi minuti la grande sala è piena, i ripiani del deposito scarpe traboccano tanto che qualche paia viene lasciato fuori. Dentro sono circa centottanta uomini originari di Pakistan, Marocco, Tunisia, Bangladesh, Senegal e Gambia; giovani e non, vestiti all’occidentale o in modo tradizionale. Alcuni con trolley e borsoni, segni di un viaggio appena terminato o da intraprendere subito. Il giovane predicatore inizia il sermone in lingua bengali (lui è del Bangladesh): tutti sembrano ascoltare anche se, al termine, molti ammetteranno di non aver capito quell’idioma. Allora, a beneficio dei più, passa ad una veloce e sommaria traduzione in italiano. Si comprende che una parte di raccomandazioni verte sulla necessità dell’assoluto rispetto del luogo sacro, da non violare nemmeno con poche parole scambiate per convenevoli; che tale comportamento è opportuno tenere anche all’uscita (“qui c’è un ristorante, ci sono appartamenti…”) e lungo la strada e fino a che non si abbandona via degli Orti per immettersi sul Corso. Alle 14.30 la cerimonia religiosa termina; i fedeli che possono permetterselo donano banconote (serviranno per pagare il fitto mensile); tutti varcano la porta in alluminio con in mano le scarpe, fuori le calzano e vanno via nello stesso silenzio di quando sono arrivati. Ininterrottamente ripresi dalla telecamera puntata sull’ingresso.

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